CARCERARIE, PSICOSI. Talune forme morbose caratterizzate dalla specificità del legame fra disturbo e stato di detenzione, talché esse si osservano solo in carcere, essendo legate alla particolare esperienza vitale da esso costituita.
CARCERARIE, PSICOSI. Talune forme morbose caratterizzate dalla specificità del legame fra disturbo e stato di detenzione, talché esse si osservano solo in carcere, essendo legate alla particolare esperienza vitale da esso costituita. La lunga carcerazione e l’eventuale predisposizione individuale possono in rari casi dar luogo a forme particolari di vere e proprie psicosi deliranti con convincimenti persecutori, ma in più con deliri di imminente liberazione, o deliri di innocenza che non sono chiaramente distinguibili dalle reazioni di chi, in ipotesi, si trovi in effetti ingiustamente condannato; si tratta di forme che si inquadrano nell’ambito delle forme paranoiche. Col nome di sindrome di prisonizzazione viene indicata una forma morbosa di tipo deteriorativo, un tempo frequente a riscontrarsi, ed essenzialmente legata alle condizioni estremamente monotone e prive di stimoli che caratterizzavano negli anni passati il regime carcerario, quando la routine quotidiana strettamente regolamentata, l’isolamento assoluto protratto per anni, la mancanza di attività, di informazioni e di interessi, potevano talora condurre all’impoverimento intellettivo, affettivo ed emotivo; tali individui apparivano totalmente plasmati dalla istituzione, cui si erano adattati senza più alcuna capacità di resistenza e di reazione, fino a giungere a condizioni di tipo demenziale. Col cambiamento avvenuto ormai in tutti i paesi europei del regime carcerario, con l’introduzione di attività ricreative, con i maggiori rapporti con la famiglia, con la disponibilità dei mezzi di comunicazione di massa, con le licenze premio e il lavoro esterno, e in generale con l’umanizzazione della carcerazione, queste forme sono andate scomparendo, e si riscontrano oggi solo in quegli stati ove il regime carcerario è rimasto particolarmente severo. Il termine “prisonizzazione”, coniato da Clemmer nel 1940, fa poi riferimento a forme non precisamente patologiche, quanto a modificazione della personalità del detenuto, che progressivamente assume abitudini, cultura, forme di rapporto sociale tipiche del carcere, al punto da rendere poi particolarmente difficile il reinserimento sociale.
Fonte: Gianluigi Ponti, Compendio di Criminologia, quarta edizione, 1999. (Ricerca curata da Cristina Maria Leoni)