La palestra dei “like” per la costruzione del sé“de-individualizzato” - di Flavia Vittorini
Vogliamo tutto e subito e questo implica una dimenticanza dell’autonoma capacità di apprendere dall’esperienza, un appiattimento e conformazione del proprio pensare e agire ad atteggiamenti imitativi e gruppali. Ci ritroviamo bombardati da modelli, condotte e destini che disegnano le nostre vite tramite immagini, così assurdamente realistiche, da farci assoggettare a profili che “non possiamo essere”, “vorremmo essere ma non possiamo essere” o “dobbiamo essere”.
La dott.ssa Flavia Vittorini ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso L'Università degli Studi Roma Tre. Ha conseguito un Master a Philadelphia (USA) in Digital Business Management.
Collabora con l’Area Scienze Comportamentali del CSC Centro per Gli Studi Criminologici, giuridici e sociologici.
La palestra dei “like” per la costruzione del sé“de-individualizzato” - di Flavia Vittorini
Nell’ultimo articolo ci eravamo lasciati analizzando, in maniera doverosamente sintetica, gli effetti “collaterali” delle nuove tecnologie d’informazione e le inversioni di rotta che queste inevitabilmente comportano ai nostri destini.
In questa sede andremo ad analizzare l’incertezza che minaccia le nostre individualità sempre più propense a costruirsi tramite algoritmi informatici e prediligere la solitaria vita online piuttosto che l’imprevedibilità “reale” del prima e del poi.
Wilfred R. Bion definiva memoria del futuroquella duplice capacità mnemonica dell’inconscio rivolta tanto al passato quanto al futuro, rivelatrice quindi di un’abilità anticipatrice, sintetizzata in immagini totalmente visive e praticamente oniriche.
Prendendo umilmente in prestito tale definizione, ritengo si possa parlare di memoria del futuro anche per le realtà attuale nella quale le tecnologie e gli strumenti di controllo permettono di guidare, comandare, anticipare e dirottare scelte individuali e destini condivisi.
Con l’introduzione e lo sviluppo della macchina informatica, dei software e delle piattaforme online si è verificata un’intensificazione e un allargamento delle potenzialità fisiche e psichiche dell’essere umano. Questo ha comportato un contemporaneo aumento delle possibilità di disciplinamento e normativizzazione del soggetto il quale, adagiandosi alla tecnologia “fai da te”, ha iniziato a delegare le sue scelte a operazioni precodificate di senso piuttosto che correre il rischio di conseguenze incerte. Fenomeni che segnano e confermano l’avvenuto passaggio in quello che potrebbe essere denominato “l’ipermoderno”:«l’ipermoderno coincide con una valorizzazione solo estrinseca e apparente della soggettività. Coincide con lo svuotamento di una soggettività, la quale, proprio nel momento stesso in cui viene valorizzata e messa in campo, è obbligata invece a rinunciare alla sua autonomia e a quella verticalità di percezione e di giudizio che potrebbe attingere solo nella profondità del proprio corpo emozionale e nelle stratificazioni di senso della propria memoria». (R. FINELLI, La conclusione di una ragione possibile, in “Un parricidio compiuto. Il confronto finale di Marx con Hegel”, Jaca Book, Milano, 2012, pp. 364, 365).
Al riguardo ritengo sia necessario fare riferimento a Facebook, il social network più diffuso e conosciuto che bene esemplifica l’incertezza che ruota attorno a ciascuna identità. L’assalto a Facebook ha innescato una crisi d’identità senza eguali che gravita, essenzialmente, intorno alla domanda di chi siamo effettivamente e come dovremmo comportarci nel mondo online.
Nella “palestra” per l’affermazione di sé stessi tramite l’addestramento al Like, Lovink ci spiega come il volto pubblico stia diventando un elemento pressoché necessario per la sopravvivenza che schiera, l’uno contro l’altro, il nostro “essere noi stessi” con il dilagante conformismo sociale. (Cfr., G. LOVINK, Ossessioni collettive, Critica dei social media, Università Bocconi Editori, Milano, 2012, p. 58)
Nella confusione tra chi e cosa siamo in realtà e quanto di noi effettivamente riveliamo online, si verifica quello svuotamento dell’individualità di cui accennavamo poc’anzi. La difficoltà crescente della nostra capacità di interiorizzazione ha generato un superficializzarsi dell’esperire tale da far sì che i contenuti della vita, individuale o collettiva che sia, fossero ridotti a frammenti ricomponibili, slegati tra loro e privi di qualsiasi forma di profondità.
La corporeità emozionale, in quanto centro privilegiato dell’attenzione e della cura della mente, la si ritrova ridotta nello scambio di Like o nella condivisione di stati transeunti sui social. L’informatizzazione dell’umano, o l’umanizzazione dell’informatico, determinanola stasi progressiva dell’imprevedibile e di quello spirito passionale/critico che definisce l’uomo quale animale sociale.
Nel solipsismo forzato della perfetta realtà virtuale, si dimenticano l’importanza del “face to face” e si conduce la «materializzazione emozionale»(R. FINELLI, La conclusione di una ragione possibile, op. cit,p. 367)a esistere in codici binari informatici.
Vogliamo tutto e subito e questo implica una dimenticanza dell’autonoma capacità di apprendere dall’esperienza, un appiattimento e conformazione del proprio pensare e agire ad atteggiamenti imitativi e gruppali. Ci ritroviamo bombardati da modelli, condotte e destini che disegnano le nostre vite tramite immagini, così assurdamente realistiche, da farci assoggettare a profili che “non possiamo essere”, “vorremmo essere ma non possiamo essere” o “dobbiamo essere”.
La semplice sentenza “io sono” diventa così sempre più difficile da pronunciare nella sua purezza e stabilità. L’oscillare della singolarità del soggetto, in quanto autonoma composizione di forze vitali, si fa dunque espressione e avvisaglia di quella che Philip Zimbardo, psicologo americano, chiama “de-individuazione”.
Nella sua teoria della deindividuazione, Zimbardo riprende alcune idee di Gustave Le Bon (1841-1931), e sostiene che gli individui di un gruppo coeso costituente una folla, tendono a perdere l’identità personale, la consapevolezza, il senso di responsabilità, alimentando la comparsa di impulsi antisociali. Il comportamento dell’individuo non è più espressione della sua personalità ma del suo essere parte di un gruppo. La persona che si trova in questa condizione non si sente quindi responsabile delle sue azioni in quanto la sua condotta è dettata dalle norme della situazione specifica in cui agisce e non dalle proprie norme interne.
La crisi d’identità che stiamo vivendo, credo, sia quindi ricollegabile alla cyborg dimensione che investe il soggetto nella sua costituzione esistenziale, pensandolo e inducendolo a pensarsi come entità “tecnologicamente rilevante” perché scomponibile in parti riproducibili in serie, il cui valore è maggiore dell’intero. Il percorso che quindi questa nuova dimensione sta intraprendendo non è unidirezionale perché, oltre a permettere il dominio tra uomini, introduce anche altre questioni fondamentali che sono quelle dell’identità e della libertà. L’artificializzazione, oltre a permettere un’assimilazione dell’intelligenza a quella della macchina, incrinando anche il rapporto mente-corpo, fa perdere al soggetto la sensazione di essere qualcosa di imprevedibile e irraggiungibile dagli strumenti e tecnologie che lo circondano. Questo determinauna trasformazione del rapporto tra libertà e processo conoscitivo perché, in virtù della sperimentazione continua e del numero di possibilità che cresce conseguentemente, la tecnologia è arrivata a detenere la capacità di indirizzare il processo cognitivo, di ottenere determinate risposte grazie all’abilità di porre originali, specifiche e retoriche domande.
Prendiamo nuovamente in esame il caso di Facebook, in questa piattaforma assistiamo alla costruzione di una narrativa completamente nuova che inganna l’utente appiattendone l’esperienza quotidiana tramite l’allontanamento dei sentimenti più complessi. Come chiarisce Lovink, l’incentivo esclusivo dell’ottimismo riduce sia la capacità di messa in dubbio delle regole imposte sia quella di scelta, ottenendo così la possibilità di pilotare gli utenti e assoggettarli a verità create tramite una serie infinita di click.
Strappato alla propria comunità, l’animale umano tende a isolarsi nella sua frenetica caccia al riconoscimento mediatico, ovattato dai fili invisibili di una rete claustrofobica. Una ricerca pazza e disperata, nella quale ciascuno diviene rissoso con il suo sé incarnato, tra gli “amici” di Facebook recita sé stesso e preferisce affidarsi a modelli senza identità piuttosto che affrontare la magnifica imprevedibilità dell’ora e del poi nella costituzione del proprio sé.
Ma dei cosiddetti rapporti vis à vis e del loro “sopravvivere” nell’epoca social, ce ne occuperemo la prossima volta.
(Flavia Vittorini - ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso L'Università degli Studi Roma Tre. Ha conseguito un Master a Philadelphia (USA) in Digital Business Management.
Collabora con l’Area Scienze Comportamentali del CSC Centro per Gli Studi Criminologici, giuridici e sociologici.)