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Pratica meditativa e Identità: scegliere per Essere - di Paolo Dattilo
 
 



Pratica meditativa e Identità: scegliere per Essere - di Paolo Dattilo

Vi è un’area entro la quale l’attitudine meditativa si esplica in tutto il suo potenziale abilitativo-preventivo-riparativo.
Vogliamo identificare e definire quest’area come la dimensione dell’Identità.

I paradigmi meditativi influenzano le attività mentali dell’individuo, il suo equilibrio psico-emotivo e più in generale lo stato di benessere e qualità della vita. In ciò la centralità spetta alla Consapevolezza in quanto presupposto fondativo e trasversale intorno al quale si articolano le variabili che, di volta in volta, configurano la varietà e specificità dei processi e degli scopi associati alle diverse forme e dimensioni della pratica meditativa.
La capacità della nostra mente di fondarsi su uno stato di consapevolezza costituisce un requisito essenziale per assimilare e integrare le prerogative legate allo stato di salute e di benessere basate sulla qualità della vita.

È tuttavia importante comprendere in tale prospettiva come la consapevolezza - che è processo e contenuto - si definisca non solo come condizione permittente, ma anche come primaria e inesauribile sorgente di nutrimento delle spinte (neurofunzionali, psicologiche e transpersonali) necessarie alla crescita e all’evoluzione personale, in altre parole dell’Identità.

Dobbiamo premettere, tuttavia, che il discorso intorno alla valenza identitaria associata all’impegno meditativo non è stato privo di ostacoli in ambito laico-occidentale, dominato da una prospettiva che riteneva le pratiche meditative, in particolare quelle di tradizione orientale, appartenenti ad una sorta di irrazionalismo premoderno, di carattere consolatorio o manipolativo e assegnato al versante del magico e dell’esoterico. Basti pensare all’interpretazione in termini di regressioni infantili o d’isteria che Freud dava delle esperienze mistiche, o all’autoinduzione catatonica della meditazione così come la considerava Alexander Lowen.

E’ solo a partire dagli anni ’60, grazie all’esito di numerosi studi sugli effetti della meditazione, che si cominciano a riconoscere evidenti benefici di natura psicosomatica ed emozionale. Ma la conseguenza forse più significativa di tali acquisizioni è stata l’apertura, in campo psicologico, di un ampio dibattito sul tema della coscienza. Si sono sviluppati nuovi campi del continuum soma-psiche-anima-spirito fino all’introduzione, da parte di alcune correnti psicologiche (in particolare quella Transpersonale), del concetto di salute spirituale come risposta al malessere contemporaneo determinato dalla crisi di senso e dalle patologie epistemologiche (Bateson e Bateson, 1989) della tarda modernità.

Lo scarto percepito tra il contenuto della propria coscienza e il sé definisce la nascita dell’autocoscienza. I problemi di depersonalizzazione, derealizzazione, dissociazione sono presenti in nuce nel fisiologico vissuto con gradazioni variabili nel sano oltre che in ambiti di pertinenza psichiatrica (psicosi, disturbo borderline, disturbi dell’umore, ecc.).
La difficoltà sembra proprio risiedere nella solidificazione istantanea di coscienza-memoria a fronte di una mutevolezza identitaria percepita come transitorietà fenomenica, che nel presente non può che essere esperita come dato provvisorio. Il rischio di registrazioni mnesiche non utili, eppure condizionanti, ci propongono la dualità del senso-non senso del vissuto, anche al di là del ruolo condizionante della socialità.

Nel mondo fenomenico caratterizzato dalle multiple assunzioni di persone/maschere per ruoli e situazioni diverse, emerge la critica fragilità della presenza; l’esserci si pone come destabilizzatore primario dell’essere e determina per quest’ultimo l’inseguimento senza fine di ciò che è reale ma sfuggente.

Attraverso l’esperienza meditativa si rileva la possibilità d’introdurre un doppio livello di valutazione che vada oltre la dualità corpo/anima (spirito) ma includa più condivisibili parametri come l’ambito biologico e quello transpersonale nel farsi umanità e identità. Esistono pulsioni ed aspetti istintuali e la loro possibilità di dominio; proprio la possibilità dell’autonegazione per processi di autocoscienza introduce l’evento dissonante della moralità: l’aspetto spirituale permette un distanziamento della fluidità esistenziale (l’oggettivizzazione del mondo lo distacca dallo stesso) e costituisce il prodromo di una scelta e intenzionalità (Scheler, 1997).

Per Bauman (Bauman, 2003), <<l’idea di identità è nata dalla crisi dell’appartenenza e dallo sforzo che essa ha innescato per colmare il divario tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è […] per rifare la realtà a somiglianza dell’idea>>. In questo il trauma dell’essere compresso tra la necessità di una fissità di riconoscimento e l’abiura sociale di una rigidità negatrice di flessibilità, è l’effetto di un’ambivalenza sostanziale e di una ricerca ossessiva di metà identità magari affidandosi al rigetto di quello che gli altri vogliono che tu sia.

Oggi sappiamo che le narrative e la loro condivisione determina precondizioni di stabilizzazione psicologiche e neurali (Shumake, Conejo-Jimenz, Gonzales-Pardo, Gonzales-Lima, 2004).

Tuttavia l’identità è vissuto di identità per mediazioni psicogenetiche e psicosociali, per persistenze temporali e appartenenza.
Il problema del memeté come principio di coerenza nel tempo non è peraltro quella della ipseitè riferita alla coerenza come persone: il contesto e la possibilità di scelta nello stesso individuo creano il principio identitario (sei se puoi scegliere).

La visione accettabile sembra connessa alla posticipazione della gratificazione immediata nella costruzione di un progetto che vada oltre il vissuto corporeo per una stabilità di legame che fughi il terrore dell’incertezza nel contribuire al dispiegarsi del divenire, un progetto che tocchi il metafisico se non addirittura lo spirituale: <<la rivalutazione della spiritualità si presta assai bene a contrastare la solitudine esistenziale dell’individuo, nella fase più dolorosa della fine della società di massa – grigia, uniforme, totalizzante – e il passaggio a una diversificazione consapevole>> (Bauman, 2011).

(Paolo Dattilo - Psicologo - Psicoterapeuta - Direttore dell'Area Psicologia e del Dipartimento Psicologia Clinica e Sociale del Centro per gli Studi Criminologici - Membro del Comitato Scientifico del Centro per gli Studi Criminologici - Direttore del S.A.I - Sportello Ascolto Integrato onlus - Ha pubblicato nel 2015 “Meditazione ipnotica-Mindfulness”, Ed. Sovera.)


Bibliografia

Bauman, Z. (2003). “Intervista sull’identità”. (a cura di Vecchi, B.). Roma-Bari: Laterza Ed.
Bauman, Z. (2011). “Il Buio del Postmoderno”. Reggio Emilia: Aliberti Editore.
Bateson, G., Bateson, M.C. (1989). “Dove gli angeli esitano. Verso un'epistemologia del sacro”. Milano: Adelphi.
Scheler, M. (1997). “La posizione dell’uomo nel cosmo”. Roma: Armando.
Shumake, J., Conejo-Jimenez, N., Gonzales-Pardo, H., Gonzales-Lima, P. (2004) “Brain differences in newborn rats disposed to helpless and depressive behaviour”. In Brain Reserch: n° 1030, pp. 267-276).



 


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