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Educare non significa informare ma accompagnare - di Claudio Mariani  



Educare non significa informare ma accompagnare - di Claudio Mariani

Avvocato - Criminologo - Coordinatore Dipartimento di Criminologia applicata alle Investigazioni/Sicurezza, Sociologia della Devianza e Comunicazione del CSC - Direttore del corso di Educazione al Diritto e Criminologia presso la C.C. di Viterbo -

Come è noto il 'CSC - Centro per gli Studi Criminologici'  svolge un’intensa attività didattica  con l’obiettivo di approfondire le cause della devianza, al fine di formare operatori competenti e in grado di contribuire a tutte le iniziative di contrasto alla criminalità.

E’ facilmente comprensibile pertanto quanto sia strettamente connessa con lo svolgimento dei nostri programmi la frequentazione della Casa Circondariale per alcuni dei nostri docenti.

Purtroppo dobbiamo rilevare come negli ultimi anni si stia rapidamente modificando la composizione della popolazione carceraria: oltre all’incremento dei detenuti di origine extracomunitaria infatti (dovuto nella maggior parte dei casi a storie di disperazione), rileviamo un incremento della presenza dei giovani provenienti anche da famiglie culturalmente ed economicamente abbienti.

Questa costatazione ci ha indotto a studiare il fenomeno e ad uscire dal nostro abituale contesto operativo (le nostre aule) per incontrare i giovani nelle scuole.

Riteniamo importante relazionare sull’esito di questi incontri, in quanto troppo superficialmente all’indomani di un fatto di cronaca si invocano le cosiddette risposte forti, quando i nostri ragazzi avrebbero intanto bisogno più semplicemente di “risposte” a domande che noi adulti spesso ignoriamo.

Abbiamo incontrato gli studenti di alcuni licei viterbesi (per lo più degli ultimi due anni) dei quali ci preme innanzi tutto apprezzare la grande disponibilità ad un dialogo, davanti al quale la maggior parte degli adulti preferisce estraniarsi, sperando solo che l’argomento di una serata da sballo finita male non li riguardi mai; è strano che di questo atteggiamento degli adulti ne debbano poi pagare le conseguenze i nostri figli, i quali indipendentemente dal fatto che un domani si trovino dalla parte delle vittime o dei carnefici, pagheranno comunque le nostre incapacità a dare una risposta alle loro insoddisfazioni, alle loro tensioni , ai loro sensi di vuoto che ormai sempre più frequentemente accompagnano le loro esistenze.

La rapidità con cui oggi tutto si produce e si consuma (tutto si può apprendere e comunicare rapidamente), ha di fatto generato nei ragazzi un grande divario tra processo cognitivo e maturazione affettiva ed emotiva: per intenderci già da bambini possono apprendere informazioni e comportamenti via web con una rapidità impensabile per la generazione di ieri, ma “internet” non consente con gli stessi tempi una adeguata crescita o maturazione affettiva e di questo noi adulti dobbiamo assolutamente farci carico.

Le risposte che la società degli adulti riserva a queste loro esigenze sono lontanissime dal restituire stabilità ed equilibrio alla loro fragilità strutturale, anche perché ai ragazzi viene quotidianamente riproposto il modello che divide le persone in vincenti e perdenti, furbi e sciocchi, forti e deboli, ambiziosi e illusi: di fronte a queste proposte crescerà la loro paura di non essere all’altezza di una società che stanno ereditando ma che vorrebbero diversa.

E allora che cosa dovrebbe proporre l’educatore a questo punto? Che cosa abbiamo proposto noi durante questi incontri? Ci è sembrato insufficiente riproporre la solita concettualizzazione astratta della lealtà, della fatica, della cooperazione e della condivisione, non perché non siano valori importanti, ma perchè rimangono concetti evanescenti se non vengono poi riconosciuti concretamente dal tessuto sociale.

E allora abbiamo ancora una possibilità noi educatori ed è quella di metterci in rete per contribuire ognuno con le proprie competenze, perché non è più possibile delegare alla scuola o solo ai genitori la formazione e l’educazione delle nuove generazioni: educare non significa informare ma accompagnare.

In conclusione, al diffuso malessere abbiamo il dovere di prestare cure urgenti e concrete, come curare la loro autostima e assertività ad esempio, come favorire la loro progettualità e lottare contro la defuturalizzazione, come lenire il loro senso di ansia e di angoscia per l’ignoto che li aspetta, come accrescere la consapevolezza dei loro mezzi, come avviare un processo di riscatto di linee valoriali autentiche e non messe in discussione dal primo reality televisivo.

Come CSC pertanto, considerate la pluridisciplinarietà delle competenze dei nostri docenti e dei nostri operatori, rimaniamo sempre a disposizione di ogni ente scolastico e non, al fine di mettere in comune tutte le esperienze utili per tenere alta la soglia dell’attenzione su un tema davanti al quale tutti si devono sentire coinvolti.

Claudio Mariani


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