Il processo di desertificazione ambientale ed umana - di Luca Cionco Si riporta ormai da diverso tempo la notizia di un processo di desertificazione in atto in Italia. Gli studi risalgono al 1970 e sono ripetuti costantemente, ogni anno, per misurare le variazioni ed effettuare stime future (1). La Desertificazione è il “processo di persistente degrado degli ecosistemi delle zone aride (…). Per degrado delle terre si intende la riduzione o la scomparsa della loro produttività biologica o economica. (…) La caratteristica precipua del degrado inteso come desertificazione, è data dalla irreversibilità del processo o dalla sua estrema difficoltà di arresto”. (2) Al processo di desertificazione ambientale in atto sembra affiancarsi almeno un altro processo, probabilmente in correlazione, ovvero quello di desertificazione umana. Riprendendo e traslando dalla Treccani potremmo definire il processo di desertificazione umana come quel processo irreversibile e difficilmente contrastabile di degrado dell’animo, quantificabile quale isolamento individuale consistente nella crescente incapacità di solidarietà verso l’Altro e verso il proprio ambiente, nella sua accezione più ampia. Se immagino un’anima deserta, quindi, la vedo come un elemento immerso in un vuoto relazionale al quale non è possibile rivolgere alcuna richiesta. È là, immobile e impassibile, che si è dimenticata di esistere con gli altri e per questo sofferente di effetti dovuti alle forme di isolamento. Ogni essere vivente, umano, animale o vegetale, ha bisogno di un ecosistema adeguato per continuare a vivere e riprodursi e per non morire giorno dopo giorno. Senza relazioni tra gli elementi non potrà mai esistere alcuna struttura. Noi, a tutti gli effetti, siamo parte integrante di una struttura più grande di noi che va salvaguardata e rispettata. Trasliamo anche il periodo successivo e notiamo quanto calzi a pennello la definizione: La caratteristica del degrado degli animi si intende la riduzione o la scomparsa della loro produttività biologica e economica. Si pensi al crollo delle nascite in Italia e al crescente debito pubblico. Sulla questione umana non tante parole la comunità scientifica ha speso. Nel 2010, in una mia prima ricerca, andai ad analizzare quello che, secondo me, era un chiaro passaggio da una società solidale ad una individualista. La tesi si chiamava “Dalla solidarietà alle paure contemporanee di un piccolo centro”. Questi paesi una volta erano visti come isole felici, dove tutti stavano insieme e condividevano casa, cibo, camera e, a volte, anche il letto. La ricerca, in una prima fase qualitativa per sondare il terreno e selezionare le tematiche da approfondire con il metodo quantitativo, riportava i racconti di un anziano signore e di un giovane ragazzo. L’anziano signore ricordava i bei tempi, forse in preda alla sindrome dell’età dell’oro, dalla nascita negli anni ’20 in sette fratelli dentro una casa di 35mq, tutti in una camera con il muro divisorio che li separava dall’abitazione adiacente talmente sottile da essersi sfondato una volta che il fratello vi appoggiò con meno delicatezza i piedi; Lo scoppio della guerra, anche se in termini geopolitici fu più una naturale conseguenza della Grande Guerra, e l’arrivo degli americani “con la cioccolata”; La ripresa economica e gli anni ’70, l’acquisto della casa di proprietà, molto più grande dove “ora ci viviamo in due in 150mq e ci sentiamo soli, prima in 9 in 35mq e stavamo bene. C’era povertà, ma stavamo bene”. “Dove sono andati i tempi di una volta, per Giunone!” ripeteva De André ne “La città vecchia”. È quello che ci stiamo ancora chiedendo, dopo più di cinquant’anni dalla stesura dei versi faberiani. Il giovane aveva una prospettiva opposta, aveva l’età mia che non interferivo nel libero racconto. Toccava esattamente le corde che vibravano anche in me: “la crisi economica, il lavoro che non c’è, la pensione che non arriverà mai”. Il futuro, semmai potesse assumere una frequenza visiva, appariva grigio, tetro. “È la prima volta che la generazione dei figli starà peggio della generazione precedente, nella storia dell’umanità” tuonava il Professore di Geopolitica al primo anno di corso, prima della crisi del 2008. Aveva ragione. E così l’uomo si è iniziato a isolare durante la ripresa economica degli anni ’70, resa possibile dall’intervento economico americano che finanziava la Dc per non farci “cadere” nelle mani del Pc, cosa che avrebbe spostato gli equilibri internazionali già fragili lungo la cortina di ferro verso una maggiore potenza sovietica che a sua volta anziché finanziare gli Stati amici li occupava coi carri armati. I soldi ci hanno resi più egoisti, più attaccati a loro che non ai nostri fratelli. Quante famiglie litigano per i soldi? Non lo farebbero per nessun’altra cosa, ma per i soldi sì. Fino a non parlarsi più. Ditemi, c’è una cosa più triste di una separazione tra consanguinei? I soldi poi se ne sono andati, poco dopo gli americani, e il crollo del muro di Berlino del 1989, in mondovisione tra le note del quarto movimento della 9° di Beethoven, ne è la dimostrazione pratica. Non arriverà più nessun finanziamento dagli americani e noi italiani, già prede della mentalità cristiano-cattolica non siamo ancora in grado di capire come farli. Sì, anche le nostre radici religiose influenzano tutti gli aspetti della vita. Nella religione di cui sopra basta pentirsi realmente sul punto di morte e si verrà perdonati; questo scaturisce un modus operandi nostrano di avanzare, ovvero quello di lasciar fare “perché qualcuno prima o poi ci pensa al posto mio”: l’aiutino per entrare nell’esercito o al ministero o in qualsiasi altro campo sono manne dal cielo per chi altro non saprebbe fare, perché nessuno mai gli ha detto “rimboccati le maniche figliolo, qui non ti regala niente nessuno”. E allora la civiltà italiana si sta sgretolando a colpi di omissioni e colpevoli procrastinamenti. Ognuno concentrato al proprio orticello si fa eleggere in politica e pensa in termini di quinquennio. Non esiste una lungimiranza, non esiste un progetto che vada oltre la stessa legislatura. C’è da esser matti a creare qualcosa i cui frutti raccoglierà il prossimo. Tutti pensano a sé stessi e nessuno più pianta un albero che possa far ombra alle generazioni future sempre più nudi sotto un sole sempre più cocente. Questa aridità di sentimenti è la desertificazione che più temo in vista del futuro. Abbiamo constatato che l’Italia si sta desertificando e l’unico contrasto che si può attuare a questo processo è l’unire le menti e facilitare i processi. n Italia non si può aprire un’azienda se non con improbabili permessi e tempi di assegnazione lunghissimi, dove solo per l’idea il dazio da pagare è salatissimo e le richieste innumerevoli. Non riusciamo a prendere contributi europei disponibili e quando ce li consegnano “per forza” riusciamo a non utilizzarli per poi esser costretti a spedirli al mittente. “(…) Considerando anche i fondi nazionali e quelli messi dai privati (che portano la torta complessiva delle risorse a 100 miliardi) la capacità di spesa in questo settore è stata pari ad appena il 29 per cento, che vuol dire quasi 19 miliardi rimasti inutilizzati. Nemmeno in ambito ambientale le cose non sono andate molto meglio: solo un terzo del denaro è stato usato”.(3) La desertificazione ambientale porterà inevitabili conseguenze correlate sul piano economico-sociale, si pensi solo alla carenza d’acqua, sempre più evidente, e all’enorme impatto che essa ha sull’agricoltura e quindi sull’economia del nostro Paese. C’è quindi bisogno di semplificare l’accesso ai fondi, con uffici appositi, di agevolare l’iniziativa economica individuale, di adottare strategie già funzionali altrove, che siano essi culturali come la preparazione quasi individuale in Norvegia o economici come negli ingenti aiuti americani agli studenti. Di soluzioni ne esisterebbero tante, ma la prima cosa da fare è non pensare esclusivamente al proprio orticello e al proprio mandato, ma sforzarsi per lasciare un’eredità concreta alle nuove generazioni. Un giovane deve, per forza di cosa, adoperarsi e investire sul proprio futuro lavorando anche gratis, spendendo soldi in formazione per poi raccogliere i frutti più avanti con l’età. Lo Stato dovrebbe comportarsi allo stesso modo: investire adesso per poter raccogliere qualcosa domani. Prima che sia troppo tardi. C’è bisogno che i nuovi amministratori e i nuovi politici, perseguano scopi più alti del mero interesse materiale. Senza seguire il flusso delle pance della massa si deve avere il coraggio di oltrepassare il limiti spaziotemporali dell’hic et nunc, del qui e ora, e puntare all’obiettivo più alto. "Mira alla luna, mal che vada avrai camminato tra le stelle". Lo spirito e la volontà di lasciare la firma nel miglioramento futuro dovrebbe essere ciò che muove i nuovi leader. E noi tutti rimbocchiamoci le maniche e mettiamo i primi mattoni per costruire la nostra società sulle fondamenta di quella già esistente. Fonti: 1-http://protectaweb.it/ambiente/ambiente/598-paesaggio-e-desertificazione-la-geografia-del-rischio-in-italia. 2-http://www.treccani.it/enciclopedia/desertificazione_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/ 3-http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/05/10/news/fondi-ue-cinque-miliardi-inutilizzati-e-60mila-progetti-non-sono-partiti-1.264677 (Luca Cionco - Direttore dell'Area Scienze Comportamentali e della Scuola di Alta Formazione Analisi Comportamentale e dell' I.R.I.S.C. - Istituto di Ricerca Internazionale sulle Scienze Comportamentali del Centro per gli Studi Criminologici - Membro del Comitato Scientifico del Centro per gli Studi Criminologici)
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