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Con una bici verso la libertà - di Lara Stefani
 
 



Con una bici verso la libertà - di Lara Stefani

Il percorso carcerario, se per l’opinione pubblica rappresenta l’espiazione di una pena giusta inflitta, è, per il detenuto, la strada, l’unica, verso la riconquista della libertà, un diritto personalissimo messo in pausa dallo Stato per la tutela della collettività.

Il nostro ordinamento penitenziario prevede, al raggiungimento di un determinato periodo di pena già scontato, parallelamente al periodo di reclusione, per coloro che tengono una buona e regolare condotta carceraria, rispettosa delle regole e delle prescrizioni imposte, e che non risultano socialmente pericolosi, la possibilità di intraprendere un percorso riabilitativo di interazione con l’esterno. Si tratta di un programma cucito ad hoc addosso al detenuto che gli consente, a piccoli passi, e con gradualità, di riaffacciarsi alla vita, di riassaporare il gusto di decisioni prese autonomamente e non imposte, di abituarsi di nuovo a paesaggi che non siano racchiusi in una cornice di ferro.

La legge n. 354 del 1975, all’art. 30 ter, regola l’istituto dei permessi premio che, tramite una loro gradualità interna, che va dal permesso accompagnato a quello libero, amplia sempre di più le maglie di autonomia concesse al detenuto per condurlo poi, attraverso il lavoro esterno dell’art. 21 della Legge sull’Ordinamento Penitenziario, fino alle misure alternative alla detenzione, anticamera della riconquista della libertà.
Normalmente la risonanza mediatica dei reati più gravi non è di aiuto al percorso carcerario e rieducativo del detenuto che, spogliato del peso umano e sociale del delitto commesso, rimane un uomo che ha trascorso parte della sua vita in carcere.

Ascoltandoli parlare si percepisce il timore suscitato dalla consapevolezza della indisponibilità della propria libertà, gestita dalle Autorità di volta in volta preposte, come burattinai, in maniera spesso asettica, automatizzata, meccanica. Ad un comportamento corretto del detenuto segue un “premio”, ad un comportamento che si discosta dalle prescrizioni corrisponde una sanzione, che si palesa in termini di revoca dei benefici concessi. Ai binomi buono/premio, cattivo/punizione che quasi ricordano atmosfere fiabesche per la esasperazione dei ruoli, si contrappone la individualità del detenuto, con tutte le sue sfumature, che necessariamente contrastano con gli schemi rigidi ed omologati imposti dal sistema. L’unico punto di contatto tra l’interesse statale e quello del singolo è dunque il rispetto delle regole, che per il primo significa ordine e tutela, per il secondo libertà. Le due facce della stessa medaglia.

Le aspettative di molti detenuti spesso sono quelle di un uomo comune, trovare un lavoro, realizzarsi, magari costruire una famiglia. In ogni colloquio si avverte come la lentezza degli step premiali venga spesso travolta da animi rimasti liberi nonostante la reclusione, animi che ancora sperano, immaginano, progettano. Ad ogni permesso-premio ottenuto, un piccolo pezzo di libertà riguadagnata, di dignità ricostruita…
Per questi detenuti uscire dal carcere per pochi giorni, anche solo per poche ore, significa poter guardare la realtà dal di fuori, senza l’ingombro delle sbarre, senza qualcuno che la filtri per loro.… Si apre il cassetto ed escono i sogni, in fila indiana, per favore, perché lo Stato vuole ordine, e la rieducazione ha i suoi tempi.

Per coloro che sostano in carcere diversi anni, nel momento di riaffacciarsi fuori, trovano spesso un mondo cresciuto, cambiato, invecchiato rispetto a quello che avevano lasciato tempo prima. E seppure negli anni di detenzione hanno modo di confrontarsi con la realtà tramite educatori, operatori sociali, avvocati, familiari, possono conoscere solo una realtà riportata, filtrata sempre dagli occhi del narratore.
Uscire dal carcere significa riprendersi il ruolo da protagonista della propria vita, anche per pochi attimi, poterla finalmente guardare con i propri occhi, decodificarla con il proprio pensiero.
...E quando finalmente la porta del carcere si apre per dare spazio a nuovi orizzonti, l’entusiasmo, l’esaltazione, per i brevi momenti da vivere da uomo libero, si scontrano con il peso sociale del reato commesso, con l’etichetta appiccicata addosso che gli anni di reclusione sembrano non aver sbiadito. E allora arriva la paura dell’opinione degli altri, e la necessità di dover imparare di nuovo a relazionarsi col mondo, nei panni non del vecchio uomo libero, ma di colui che sta pagando per un  delitto commesso.

Questo è il percorso di Rudy Hermann Guede e di centinaia e centinaia di altri detenuti che, pur senza un nome altrettanto altisonante che regala ora consensi, ora critiche, condividono simili esperienze che hanno come obiettivo ultimo quello di poter riavere indietro la loro libertà e, con essa, la loro dignità.

Come per altri detenuti, anche per Rudy Guede dopo il primo permesso premio ne sono arrivati altri, sempre meno stringenti, sempre più lunghi, fino ad ottenere oggi la possibilità del lavoro esterno presso il Centro Studi Criminologici di Viterbo che ha dato anche a lui un’opportunità di riscattarsi, di crescere, di riabilitarsi.
Il Centro, con i suoi operatori, ha seguito Rudy Guede nella sua permanenza nell’Istituto Carcerario di Viterbo aiutandolo ed incoraggiandolo nel suo percorso di studio, personale e rieducativo.

Per un detenuto che sconta una pena che ha un forte impatto sociale è fondamentale avere alle spalle qualcuno che creda nelle sue capacità e nella possibilità di un reinserimento nella società che sia reale, concreto.
Questo è, tra gli altri, l’obiettivo del Centro che, nei progetti che coinvolgono i detenuti, si propone di capovolgere lo schema consueto secondo cui coloro che compiono un reato divengono oggetto di osservazione per operatori terzi.
Il CSC tenta, proprio sfruttando una diversa prospettiva incentrata sulla soggettività del detenuto, di riattivare e non di far subire meccanismi di rielaborazione del passato e di comprensione delle scelte individuali operate.

...C’è una bici per Rudy Guede parcheggiata fuori al Carcere, il Magistrato di Sorveglianza usa fare così con gli “articolo 21”, una scelta curiosa, un’immagine quasi anacronistica, magari dipesa da  banali logiche di cassa… ma noi vogliamo pensare che non sia così… e vogliamo credere che il vento sulla faccia sia parte integrante della riabilitazione e il punto di partenza per la riconquista di una rinnovata libertà


(Lara Stefani  è Avvocato e Giornalista - Collabora con l'Area Giuridico Penale e con l'Area Giornalismo del Centro per gli Studi Criminologici , giuridici e sociologici.)



 


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