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Gli Esperti scrivono
Facebook: la tribuna della tristezza e della rabbia - di Luca Cionco  



Facebook: la tribuna della tristezza e della rabbia - di Luca Cionco

La maggior parte di noi è un navigatore che non ha mai salpato mari né oceani, ma dopo il caffè della mattina, o in molti casi anche appena aperti gli occhi, prende il cellulare in mano e naviga, controlla le notifiche e dedica i suoi primi dieci minuti a controllare ciò che hanno condiviso gli altri utenti e le pagine alle quali ha messo like o ancora, suo malgrado, le inserzioni sponsorizzate.

Durante l’arco della giornata quel cellulare sarà preso innumerevoli volte per vedere se ci siano novità immateriali sulle quali esprimersi dando sfogo a tutti i sentimenti e risentimenti e quello smartphone sarà, verosimilmente anche il destinatario dell’ultimo sguardo prima di addormentarsi alla sera.

Ciò che più conta nelle nostre vite non sono quei momenti importanti vissuti in carne e ossa?
Potrebbero, eppure ciò che conta al momento è ciò che è destinatario dell’attenzione focalizzata. Per quel momento siamo totalmente concentrati su cosa stiamo facendo e quella è la cosa più importante della nostra vita.
Questo significa che in molteplici momenti della giornata la cosa più importante cui ci dedichiamo è scorrere fra post di facebook.
 
Queste condivisioni però non solo ci catturano l’attenzione, ma costruiscono la nostra realtà, dando forma al circostante attraverso filtri, magic cookie e sfoghi.
Siamo cybersurfisti che cavalcano l’onda dell’emozione e mentre a volte riusciamo a domarla tutta fino in fondo, altre volte l’onda ci risucchia nel vortice emotivo e ci fa perdere la razionalità sospendendo il giudizio e il naturale dubbio che dovremmo nutrire. 
L’onda, in questa metaforica digitalizzazione, è ciò che in un preciso momento ci capita sullo schermo dell’Iphone, ma a differenza del mare vero ne siamo sia fruitori sia creatori.
 
Nella storia dell’umanità siamo sempre stati propensi alla condivisione, con le dovute differenze individuali. Dal cibo alle coperte, dalle gioie ai dolori abbiamo sempre condiviso qualcosa con qualcuno e spesso in preda all’eccitazione questa condivisione permette di amplificare l’evento e di riviverlo nella sua portata emotiva.
Abbiamo superato brillantemente un esame all’università e chiamiamo raccontando nei dettagli l’impresa.
Abbiamo visto e gioito per la vittoria a Berlino nei mondiali del 2006, tutti insieme. Siamo perciò portati a condividere qualcosa che ci tocca e fa vibrare le corde giuste arpeggiando sulle emozioni.
 
Pochi giorni fa mi è capitato il video di un signore che aveva ritrovato nel frigo, dove l’aveva apposta due giorni prima dimenticandosene, una piccola bustina bianca contenente cocaina. Era così euforico, forse non solo per il mero ritrovamento, che non ha resistito e si è lasciato andare ritenendo necessaria la videoripresa di quell’evento importante e la successiva condivisione con il mondo interno.
 
Ora, ci si può domandare quante sinapsi ormai riescano a stabilire i neuroni restanti, ma questa è un’altra storia.
Quello che conta è che vent’anni fa lo stesso tizio nella stessa circostanza non si sarebbe affacciato alla finestra di casa urlando il ritrovamento, non lo ha fatto neanche in quel momento? Avrebbe, al massimo, chiamato uno o due amici di merende per condividere gioie e sapori.
 
Perché condividiamo molto di ciò che non abbiamo il coraggio di dire? Non vedo gente in piazza la domenica mattina prendere l’attenzione di tutti ed esprimere a gran voce i propri pensieri sul deficit pubblico, sull’Acquarius o sullo spread.
Tutto questo incendiarsi per qualcosa poi non è tramutato in azioni concrete come l’associazionismo.
 
Oggi la possibilità di un immediato accesso al grande pubblico ha modificato radicalmente alcuni comportamenti. In certi casi, come il precedente, forse lo si deve alla disinibizione dei filtri tra pensiero e azione, imputabile agli alcaloidi contenuti nella bustina bianca, o forse alla semplice disponibilità di un mezzo che permette istantaneamente di entrare in contatto con conoscenti e sconosciuti e vedere appagato il bisogno di condivisione e di accettazione attraverso un feedback quasi sempre positivo.
Non è che manchi il pulsante “non mi piace”, se non è gradita la condivisione si passa oltre, indifferenti.
 
La voglia di condivisione nasce dal bisogno di socialità e, senza scomodare Maslow con la sua rigida piramide, si può sostenere che tutti vorremmo vedere appagati i nostri bisogni. Allora condividiamo e riceviamo like che interpretiamo spesso come segno d’aver fatto centro, di aver fatto la cosa giusta che è piaciuta, ha ottenuto successo e ci ha reso felici. Poi lo rivediamo e ancora scorriamo con il pollice sullo schermo per vedere ciò che altri hanno fatto, detto, filmato o fotografato. E in questi meccanismi di socializzazione si inserisce anche tutta una serie di cose altre.
 
Vi racconto la mia home.
Dopo un “buongiornissimo kaffè” e qualche condivisione di video divertenti con i quali inizio bene la giornata arrivano le prime avvisaglie della guerra fredda che si sta consumando nella politica italiana e locale.
Un tutti contro tutti che farebbe impallidire la giornata di caccia di Fantozzi, sia per la foga delle asserzioni che per i condizionali e i congiuntivi dilaniati nelle stesse frasi. Salvini, Conte, di Maio, Mattarella e Renzi si materializzano nella mia stanza e, mentre tra loro si scambiano sorrisi da 15000€ mensili, lasciano ai cyberpirati senza benda la bega di scannarsi gli uni con gli altri.
Conte parla inglese con Trump, Tedesco con la Merkel e giapponese al sushi; Berlusconi al tempo raccontava barzellette mentre faceva le corna in posa ed ora invece “mi riconsenta” mentre il “collega” di Conte, Renzi, insegnava lo Shish agli anglofoni.
Il contratto di governo, la terza repubblica, la fame nel mondo, la violenza sulle donne, la violenza sugli animali e la Terra piatta fanno da cornice a un affresco più strano che nostrano. 
In tutto questo affannarsi e inveire, il social più famoso sembra stia diventando una valvola di sfogo dove la volontà di condivisione una volta si abbraccia alla gioia e mille altre volte si incatena alla rabbia e alla tristezza. 
 
Credo che ci sia bisogno di più intelligenza nell’utilizzo. Credo che si debba pensare prima di condividere qualcosa. Questa notizia è vera? È vera per davvero? Perché la voglio condividere? Si offende qualcuno nel caso in cui la condividessi?
E una volta trovata la risposta non bisogna ascoltare quel crescendo di sensazioni dovute alla novità della notizia. Non dobbiamo per forza essere i primi che fanno lo scoop.
Dobbiamo imparare ad ascoltare i nostri cambiamenti fisiologici interni e sintonizzandoci con loro pensando: ok, ci dormo su e semmai lo condivido domani. Non c’è bisogno di sparare o di sferrare un fendente per ferire, basta anche condividere immagini di violenza e i più sensibili ne rimarranno rattristati.
E non venitemi a dire che c’è bisogno di sensibilizzare su determinati temi perché il violento gode nel vedere le stesse scene per le quali un sensibile ne soffre.
Vedere immagini di animali maltrattati, bimbi malnutriti e vittime di violenze sortisce effetti emotivi negli attivi fruitori da non sottovalutare, per non parlare poi dell’effetto Werther.
 
Le immagini e i vaffanculo, “le liti e la miseria” con la quale vogliamo dimostrare al mondo la nostra appartenenza politico-sociale e la nostra capacità compassionevole altro non fa che alimentare tristezza, rabbia, odio, rancore e tutti quei derivati negativi. Botta e risposta fino all’ultimo sangue.
 
Facebook è diventato una piazza pubblica di sfoghi emotivi che attraverso contagio si autoalimentano e costringono alla guerra dei poveri, mentre i fautori principali delle battaglie se la ridono.

( Luca Cionco - Direttore dell'Area Scienze Comportamentali e della Scuola di Alta Formazione Analisi Comportamentale e dell' I.R.I.S.C. - Istituto di Ricerca Internazionale sulle Scienze Comportamentali  del Centro per gli Studi Criminologici - Membro del Comitato Scientifico del Centro per gli Studi Criminologici)


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