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SAI - Sportello Ascolto Integrato
"L’ambivalenza amorosa del dipendente affettivo"
a cura della Dr.ssa Valentina Tanini
 



"L’ambivalenza amorosa del dipendente affettivo"
a cura della Dr.ssa Valentina Tanini

Coordinatore del  Gruppo Tutor del CSC
Psicologa - 
Consulente del S.A.I. Sportello di ascolto integrato

“Ti odio e ti amo. Mi chiedi per quale motivo io faccia questo. 
Non lo so, ma mi accorgo che accade e sto in croce. 
Ovidio”

L’attenzione sulla  dipendenza affettiva si è sviluppata a partire dagli Anni’70 a seguito  della pubblicazione del libro Donne che amano troppo della psicologa americana Robin Norwood. Tra tutte le forme di dipendenza, questa risulta sicuramente la meno tangibile. L’oggetto privilegiato, infatti, non è un oggetto nel senso letterale del termine, ma è una relazione. La patologia può assumere varie forme e manifestarsi in diversi tipi di relazione; quella parentale, amorosa o sessuale, amicale, ma anche nell’ambito lavorativo o all’interno di un rapporto tra terapeuta e paziente.
Nel soggetto affetto da questa dipendenza è possibile rintracciare una sorta di ambivalenza affettiva che è identificabile nella massima del poeta latino Ovidio: «Nectecumnec sine te vivere possum...». "Non posso stare con te" per il dolore che si prova in seguito a umiliazioni, maltrattamenti, tradimenti e quant'altro si subisce. "Non posso stare senza di te" perché è insopportabile la paura e l'angoscia che si prova al solo pensiero di perdere la persona amata. Spesso, anche se non sempre, la persona amata è irraggiungibile per il dipendente affettivo. In questi casi si può affermare che la dipendenza si fonda sul rifiuto, e che anzi se non ci fosse, paradossalmente il presunto amore non durerebbe. La dipendenza, infatti, è alimentata dal rifiuto, dalla negazione di sé, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità. Il legame che il dipendente affettivo ha con il suo partner è simile a quello che ha un credente con il suo Dio; un rapporto inviolabile e sacro. Da questo “DIO” il dipendente si sente soggiogato tanto da amarlo e odiarlo nello stesso momento e da odiare anche l’amore che ha nei suoi confronti.  Ritiene che il suo “amato” sia l’unico essere che può renderlo felice, l’unico in grado di risolvere tutti i suoi problemi, “un bisogno vitale”. Comunemente potrebbe sembrare un sogno di una vita romantica , ma in realtà la dipendenza tende poi a pervadere tutta l’esistenza del dipendente tanto che la gestione dei suoi impegni quotidiani è costantemente minata dalla paura di perdere l’altro; il suo è un amore ideale in cui il partner non è altro che la proiezione dei suoi bisogni e dei suoi sogni. Non ha stimoli per sé ed è talmente privo di interessi da essere geloso di quelli altrui nei quali non si sente direttamente chiamato in causa. Nel costante timore di essere abbandonato, qualsiasi distacco momentaneo del partner, come una mancata telefonata, viene vissuto con angoscia. Vive un’alternanza continua di emozioni e una storia d’amore è per lui come stare sulle “montagne russe”.Per esserci passione deve esserci per forza sofferenza; è la situazione di crisi permanente di coppia a riaccendere la passione nel dipendente affettivo, e se la sua relazione si appiattisce va a cercare altrove relazioni passionali. Senza paura e sofferenza per lui non esiste passione. La relazione travagliata diventa per il dipendente una vera e propria droga grazie alla quale distoglie il pensiero da sé e se non c’è l’altro su cui concentrarsi prova gli stessi sintomi di un tossicodipendente in astinenza: nausea, sudore, brividi, tremore, movimenti inconsulti, insonnia e depressione ecc.; è disposto, anche a tollerare l’infedeltà del partner pur di non perderlo. In realtà il dipendente affettivo non ama davvero l’altro come non ama sé stesso;  non si conosce, non ha sviluppato una vera e propria identità e  l’autostima. E’ stato un bambino/a troppo o troppo poco amato, non ha maturato una sicurezza di base verso le figure di attaccamento: una madre e un padre che non si sono sintonizzati su i suoi bisogni reali. Non si ritiene degno di un amore vero e sano.
Al contrario di quanto si potrebbe immaginare, spesso le donne affettivo-dipendenti sono di bell’aspetto, professionalmente realizzate e capaci, ma molto fragili emotivamente. A volte, è proprio il senso di colpa per essere diventate delle donne di successo senza sentire di meritarlo davvero che inconsciamente le porta a legarsi con uomini di poco valore o con uomini che le tratteranno male. La dipendente affettiva può rimanere incastrata per anni in una situazione che la danneggia, mettendo a rischio il suo lavoro, la sua salute e la vita stessa, entra in una spirale il cui esito può essere quello di subire violenze e stalking .
A volte ne esce solo quando tocca il fondo, il suo problema è la mancanza di autonomia e la scarsa conoscenza di sé che rendono la sua guarigione faticosa e lenta, anche se non impossibile. Senza un aiuto concreto sarà per lei difficile uscirne e durante la vita la tendenza a ricadere nei vecchi schemi sarà forte, soprattutto dopo una separazione.
 


 


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