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Gli Esperti scrivono
L’effetto social: conformismo anticipato alle pretese di prestazione - di Flavia Vittorini  



L’effetto social: conformismo anticipato alle pretese di prestazione - di Flavia Vittorini

Nei precedenti articoli abbiamo avuto modo di avvicinarci a quella che io definirei una generalizzata “crisi d’identità social” a causa della quale i dati personali sono divenuti una vera e propria questione di trattativa e negoziato.

Una delle manifestazioni più evidenti di questa “corsa”all’identità algoritmica la ritroviamo nella “desertificazione” comunicativa: la comunicazione nell’era IT (Information Technology) si è essenzialmente risolta in scambi di reazioni online, commenti “post-datati” che aprono la strada a confessioni involontarie strappate ai singoli utenti, attraverso la diffusione di “sorridenti” questionari, necessarie carte fedeltà o imprescindibili adesioni online.Questo genera un’autonomia della nostra data-immagine che diviene così data-oggetto sulla quale si fissa indisturbato lo sguardo elettronico.

Nella famosa architettura carceraria del Panopticon,come presentata dal filosofo J. Bentham nel 1791, l’internato era costantemente oggetto e mai soggetto di controllo. Un processo che oggettivava il reo che, con la consapevolezza di essere perennemente osservato, avviava un processo di conformismo anticipato alle pretese di prestazione.

Questa conoscenza “obiettiva” trova oggi una sua rivisitata realizzazione nei database informatici che riducono e razionalizzano a pieno le persone in data-immagini. In questo sistema si realizza quello che Lyon chiama «effetto di distanziazione» (D. LYON, L’occhio elettronico, op. cit, p. 287)che, facendo scomparire handicap, etnie, genere o religioni nel cyber spazio, distacca la data immagine dalla persona, dalle forme di verifica, dalla soggettività, dall’empiria e dal senso di responsabilità che dovrebbe seguire ogni azione.

Le implicazioni dell’attenzione per lo più visiva ai database non sono da sottovalutare, Lovink ci spiega al riguardo che le rivoluzioni tecnologiche, per le quali l’accelerazione del tempo è il motto fondamentale, hanno il pericoloso potenziale di renderci insensibili generando un alternarsi continuo di Noia-sorpresa-Noia
Di fronte al crollo della “Grande Narrativa”, non riusciamo a star fermi e, felicemente inconsapevoli, continua il filosofo olandese,
«La “neurosi moderna” di Freud si manifesta sotto le vesti della mancanza di attenzione nel cyberspazio. L’osservazione e l’ascolto consapevoli cedono il passo al multitasking diffuso. Nel momento in cui ci sediamo dietro al computer, veniamo assaliti dalla sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Ci comportiamo come bambini iperattivi che ricevono troppa attenzione, e se qualcosa non ci sta bene […] passiamo immediatamente a qualcos’altro.» (G. LOVINK, Ossessioni collettive. Critica dei social media, Università Bocconi Editori, Milano, 2012, pp. 203,204.)

La hybris, tracotanza, incontrata con il sorvegliante del Panopticon si ritrova rinforzata tanto negli utenti che negli ideatori dei sistemi elettronici che fanno della società un ambiente a raggi x in cui tutto è impostato e subordinato a una tendenza classificatoria la cui logica, anche se può in parte proteggere, risulta spesso oppressivae limitante. Una nuova forma di “quadrillage” che si rivela essere molto più efficace proprio per il suo essere poco evidente e smaterializzato.

Riferendoci agli articoli precedenti in cui abbiamo più volte citato Tiziana Terranova, la società odierna è meglio nota come società dell’informazione. Nel rumore bianco della comunicazione, miriadi di canali vengono aperti giorno dopo giorno con lo scopo di allargare i mezzi di contatto e,inevitabilmente, anche quelli di sorveglianza e assoggettamento.
Pensiamo alla cosiddetta “cultura dei commenti”; con l’avvento e il dominio di internet, le pseudo-discussioni online generano un’eco molto maggiore rispetto alle modalità di critica e di dibattito passati. Attraverso il Like, il tweeto la condivisione in tempo reale di uno stato si cela “l’arrangiamento orchestrato” di ciò che potrebbe apparire una discussione auto-emergente. Lovink ribadisce che, accecati dal tecno-ottimismo, la maggior parte di noi si inganna che la vasta gamma di modalità attraverso cui replicare in tempo reale permettano una comprensione più profonda e articolata di un argomento o di una situazione.

Opportunità vere ma che devono essere considerate in relazione alle operazioni di “filtraggio” che le anticipano e le seguono; questa situazione paradossale fa si che si generino confessioni involontarie, sotto forma di status sui social, questionari di gradimento online o iscrizioni a newsletter, in grado di fornire una maggiore quantità di informazioni rispetto a qualsiasi spontanea presa di parola.

Nell’assoluta trasparenza dovuta a confessioni indotte e incontrollate nella “società degli estranei”, gli individui sono continuamente coinvolti nel tentativo di affermare la propria identità, un’impresa resa sempre più difficile dai rapporti che diventano più lontani e che abbandonano ciascuno al solipsismo condiviso con le proprie “macchine”.
Lapretesa di onniscienza, alimentata e concretizzata da tecnologie in continua evoluzione,incide negativamente sull’interazione sociale andando ad annebbiare le linee dell’atto comunicativo in quanto tratto definitorio dell’uomo,oggi che media e tecnologie inquadrano i nostri discorsi prima ancora che essi vengano proferiti.

La complicazione e digitalizzazione della società e quindi delle personalità di ciascuno, sempre più cyber e meno emozionali, ha determinato un conseguente approfondimento del concetto di libertà che non può più essere definita come assenza di impedimenti esterni, ma a questi vanno aggiunti impedimenti interni, o meglio interiorizzati a causa della razione quotidiana di controllo che, giorno dopo giorno, riceviamo o forse ricerchiamo. La socialità umana potenziata o ridotta dalle tecnologie, a seconda che si consideri il numero a più di quattro cifre degli amici virtuali che accumuliamo sui social o la mancanza di rapporti genuinamente vis a vis, si è allargata nella dimensione “altra”, digitalizzata, del mondo virtuale e ha attivato nuove forme di riconoscimento sociale mediate e instabili.  

«L’ascesa delle “reazioni” online va attribuita alla maggiore volontà di articolare pubblicamente il proprio “risentimento”. Con un misto di espressioni gergali, slogan tipo inserzioni pubblicitarie e giudizi incompiuti, gli utenti mettono insieme frasi e battute ascoltate o lette in giro. Chiacchiericcio è il termine giusto. Quel che prende forma è il disperato tentativo di essere ascoltati, di avere un impatto e lasciare il segno.» (G. LOVINK, Ossessioni collettive, op. cit,pp. 80,81.)

Una frase decisamente forte con la quale Lovink inquadra l’attuale società “ipermediatizzata” e la pervasività IT che soprattutto i più famosi social network vantano in virtù dell’uso irriflessivo che avviene specialmente tra i giovani.
Il pensiero va immediatamente agli ultimi casi di cronaca che vedono protagonisti adolescenti ingannati da un messaggio sul social, da una foto venuta troppo bene per essere vera oda qualche “cuore” messo al posto giusto nel momento giusto.

Ci sono molte, troppe credenze, forse speranze, e sono tutte apparentemente convincenti dietro uno schermo; per questo, a volte, servirebbe riprendere l’abitudine di contare fino a 10 prima di aprirci completamente a chi si conosce solo dietro a un nickname.



(Flavia Vittorini - ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso L'Università degli Studi Roma Tre. Ha conseguito un Master a Philadelphia (USA) in Digital Business Management.
Collabora con l’Area  Scienze Comportamentali  del  CSC Centro per Gli Studi Criminologici, giuridici e sociologici.
)

 


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