"Sulle Dipendenze" A cura del Dr. Paolo Dattilo Coordinatore del Dipartimento di psicologia Giuridica del CSC Psicologo - Gruppo CTU Ordine Psicologi del Lazio - Coordinatore del S.A.I. Sportello di ascolto integrato In definitiva una dipendenza patologica si sviluppa quando l’individuo cerca sistematicamente di vivere esperienze emotivamente pregnanti, di sperimentare vissuti ricchi di significato verso la realtà e se stesso al fine di evitare ansia o depressione e conservare così un apparente equilibrio psicoemotivo. A causa della scarsa tolleranza alla frustrazione e alla tendenza a trovare sponda e supporto solo all’esterno, il soggetto in genere sperimenta difficoltà lavorative, relazionali e familiari che percepisce come non governabili. Ciò che induce alla continua ricerca di contatto con la “sostanza”, e così ottenere una momentanea reazione di sollievo rispetto al disagio primario, è la sensazione iniziale di euforia che sembra riempire a pieno il vuoto emotivo-affettivo vissuto dal soggetto. Tutti i tipi di “droghe” non rappresentano altro che sostituti simbolici la cui funzione è quella di integrare il vuoto affettivo, il bisogno primario d’amore e riconoscimento ad esso sottostante. Osservando le persone dipendenti dal lavoro, dal gioco, dal denaro, dall’alcool, è facile notare come nella fusione con l’oggetto di dipendenza essi cercano di riattualizzare l’esperienza di fusione primaria riferibile alle antiche figure di attaccamento, esperienza evidentemente non vissuta e conosciuta in modo sano. Il dolore per questa mancanza è tale che questi soggetti tendono a rimuoverlo anziché affrontarlo; in molti casi cioè sembra sia più facile sviluppare una dipendenza che confrontarsi con il proprio vuoto affettivo. Rientrare in contatto con l’“oggetto amato” per riottenere l’apparente equilibrio costituisce anche il tentativo di gestire l’astinenza e i sintomi di disagio fisico e psicologico ad essa associati. Sebbene la relazione con tale oggetto diventi tanto privilegiata da recare danno a tutti gli altri ambiti dell’esistenza, essa è tuttavia caratterizzata dalla presenza di una forte conflittualità: poggiando su sensazioni egodistoniche il soggetto coglie la disfunzionalità dell’emergente e tuttavia non riesce a liberarsene. In genere solo dopo che il soggetto ha subito severe conseguenze, o in virtù della presenza di un significativo controllo e sostegno da parte della rete familiare o amicale, emerge la consapevolezza della gravità implicita nella condizione di dipendenza, da cui consegue con maggiore forza la decisione di uscirne. Un lavoro che punti subito al rafforzamento e allo sviluppo dell’autostima e del senso di autoefficacia, e più in prospettiva alla riparazione primaria e alla ristrutturazione dell’identità, è fondamentale per la gestione dell’astinenza dalla “sostanza” e del desiderio conseguente di ricercarne il contatto, come accade di sovente in condizioni di maggiore stress o nelle situazioni capaci di riattivare fragilità e insicurezze del soggetto stesso. La persona che mostra tratti o profili personologici di tipo dipendente in ultima analisi non dispone di una “base sicura” data dall’interiorizzazione di figure genitoriali rassicuranti e presenti; con molta probabilità egli si è invece relazionato con figure ansiose, ambivalenti o evitanti con le quali non è stato possibile sviluppare una sana dipendenza (fiducia e nutrimento). Da questo punto di vista risulta importante sottolineare il beneficio che il soggetto trae dal semplice contatto con la figura del terapeuta, la cui presenza costante rappresenta “l’ancora di salvezza” in grado di aiutarlo a tollerare il vuoto generato dal distacco dalla “sostanza”.
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