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Fuoco e Catarsi - di Paolo Dattilo  



Fuoco e Catarsi - di Paolo Dattilo

Psicologo - Psicoterapeuta - Coordinatore Dipartimento di Psicologia Clinico Forense e sociale del CSC - Coordinatore del S.A.I - Sportello Ascolto Integrato - onlus


Occorre in premessa chiarire ciò che distingue la piromania come disturbo comportamentale, dall’atto incendiario in quanto possibile “manifestazione comportamentale”. La Piromania si definisce come impulso ossessivo ad appiccare un incendio; i vissuti includono tensione o emozione crescente prima del gesto, seguita da una sensazione di intenso piacere, di gratificazione o liberazione. Nella piromania è inoltre presente fascinazione, interesse o attrazione per il fuoco e i suoi contesti situazionali.

Nel caso dell’atto incendiario, dove sono assenti gli aspetti ossessivi specifici, l’azione è finalizzata a ottenere un guadagno o un riconoscimento, per esprimere un’ideologia, oppure come espressione di rabbia o vendetta.Si tratta di manifestazioni incendiarie occasionali, di “reazioni di scarica” solo in apparenza senza giustificazione, e in relazione o a disposizioni innate/acquisite della personalità o incluse e sostenute da un profilo psicologico di fondo scarsamente integrato. Considerato come problematica transitoria di frustrazione o disadattamento, il gesto incendiario compiuto dal singolo o in gruppo non presenta particolare rilevanza psicopatologica. L’appiccamento del fuoco, al pari di altre manifestazioni devianti, è un fenomeno relativamente comune tra i giovani e tende ad estinguersi con lo sviluppo. Di solito è associato a Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Disturbo della Condotta o Disturbo dell’Adattamento. Quasi la metà dei soggetti arrestati per reati di incendio doloso ha meno di 18 anni e il fenomeno mostra alta frequenza (circa 80%) nei maschi con scarse abilità sociali e difficoltà di apprendimento; le ragazze appaiono meno interessate al fuoco, anche perché sembra ne siano più intimorite.

Sul piano evolutivo l’impulso incendiario nei bambini si esprime per lo più come moto aggressivo verso adulti percepiti come avversi, mentre negli adolescenti appare più spesso finalizzato ad ottenere un riconoscimento sociale, a cui pare si associ una possibile componente omosessuale nei confronti del gruppo di complici.  Sappiamo inoltre che gli adolescenti si differenziano dagli adulti per il tipo di oggetti che vengono dati al fuoco. I primi si rivolgono a simboli di autorità o di particolare valenza sociale, come lo sono le scuole e i mezzi di trasporto; gli adulti diversamente tendono a distruggere beni il cui valore è soprattutto di tipo affettivo o professionale, di cui possono essere esempi un’abitazione, un magazzino, una fabbrica. Sulle motivazioni psicologiche del comportamento incendiario si è molto discusso e scritto, in realtà senza mai giungere a spiegazioni univoche.È stato in prevalenza interpretato come atto espressivo diretto ad assicurare attenzione sul disagio e la sofferenza esperiti; in fondo l’amplificazione sottesa all’atto deviante consente di costruire un nuovo assetto soggettivo e relazionale fondato sulla possibilità di ottenere vantaggi, soprattutto di natura simbolica*.

Un’altra prospettiva rimanda al significato del fuoco come archetipo della libido maschile, del principio della passione, del calore, della volontà e dell’azione che sempre declina in funzioni opposte e bipolari: bene e male, dolcezza e afflizione, calore e distruzione, impuro e purificatore. L’immagine del fuoco “purificatore” appartiene alla nostra cultura, e di ciò ne è prova l’ampia diffusione che tale immagine ha raggiunto in forma di rappresentazione religiosa o letteraria. Alla radice del fascino per il fuoco, dove la cultura si fa psiché, ci sarebbero un’aggressività deviata e un piacere orgasmico, spinte interne incontenibili, non mediate dai processi cognitivi superiori, che trovano espressione in un’azione improvvisa e disinibita. La connessione tra alterazioni erotiche e piromania, posta in rilievo da molti studiosi, si trova nell’esperienza d’intenso piacere che il soggetto attraversa durante l’azione, piacere seguito da un effetto sedativo risultante da una condizione di rilassamento rispetto al gesto. In tale prospettiva la spinta incendiaria costituisce una forma deviata di soddisfazione rispetto a un bisogno di natura sessuale, un sostituto equivalente dell’orgasmo sessuale in quanto, come quest’ultimo, attraversato da una processualità trifasica di eccitazione-tensione-rilassamento**.

Si è scritto, inoltre, che oltre alle funzioni di amplificazione e scarica, e nel tentativo di gestire il rapporto tra limiti e risorse individuali e ambientali, appiccare un incendio consenta di restituire all’autore un controllo sull’ambiente non raggiungibile diversamente: l’impulso incendiario, come altre manifestazioni di condotta antisociale, sottende infatti mancanza di autostima, di autocontrollo e di quelle competenze sociali necessarie per ottenere in modo appropriato una risposta ai propri bisogni. La questione principale riguarda lo stretto legame esistente tra formazione psichica e variabili ambientali. Se gli scambi con le figure di accudimento sono risultati fallimentari sin dalle prime fasi di crescita, soprattutto sul piano del riconoscimento e dell’empatia, in adolescenza sarà più complicato portare a compimento la maturazione dell’individuo in quanto “soggetto” portatore di legittimi e peculiari diritti, responsabilità e bisogni all’interno di un quadro che differenzia il sé dall’altro che non è sé.Nei contesti famigliari patologici la differenza fra sé e gli altri viene negata in un clima che include inevitabilmente esperienze precoci di rottura, continue ferite narcisistiche, incapacità di accesso alla riflessione***. Le ricerche in ambito psicoanalitico hanno parlato di “nevrosi d’impulso”, di psicopatie criminali, di perversioni complesse legate a un bisogno di affermazione distruttiva,  categorie alla cui base si trova un nucleo costituito da ambizione smodata, distorta e frustrata.

L’identità negativa si costruisce allora come espressione di un tentativo compensatorio fatto di onnipotenza, autoreferenzialità e negazione della dipendenza, cioè della necessità di relazionarsi con l’altro. Insomma parliamo di un “Ideale dell’Io” ingigantito, spesso capace di trasformare lo stesso incendiario in spettatore del proprio agito. Un’opera di prevenzione e intervento su questi fenomeni non può prescindere dall’estensione dei confini di questa all’ambito sociale e famigliare, dalla definizione di contesti educativi funzionali e dall’adozione di strumenti d’intervento psicologico in grado di compensare o riparare importanti ferite che, sebbene nel caso del gesto incendiario non rinviano direttamente a funzioni psicopatologiche, possono tuttavia indurre alla scelta del fuoco come unica metafora disponibile per espellere il proprio incontenibile disagio e “purificare” le antiche contaminazioni.

Paolo Dattilo

Note

*De Leo G., Patrizi P. (1999). La spiegazione del crimine. Bologna: Il Mulino

**Barnett W., Spitzer M. (1994). Pathological fire-setting 1951-1991.  In “Medicine Science and Law”, vol. 34, n. 1

***De Sisto M. (2005). Piromane o incendiario?. Roma: AIPC Editore


 

 


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