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Terrorismo: si può vincere la paura? di Paolo Dattilo  



Terrorismo: si può vincere la paura? di Paolo Dattilo

Psicologo - Psicoterapeuta - Coordinatore Dipartimento di Psicologia Clinico Forense e Sociale del CSC  Centro per gli Studi Criminologici, giuridici e sociologici - Coordinatore dello Sportello Ascolto Integrato S.A.I. Onlus con sede a Viterbo.

Il nemico è la paura. Si pensa che sia l’odio; ma, è la paura. (Gandhi)
 
L’ombra gettata sul nostro quotidiano dagli attentati di matrice terroristica ha generato vittime, sgomento e dolore, e un oscuro riflesso destinato a produrre effetti in divenire: lo stato pervasivo di paura e l’angoscia che ciò possa ripetersi. In tali condizioni appare lecito chiederci se possiamo convivere con questa paura senza esserne fagocitati, e forse conoscere la natura di tale vissuto può esserci d’aiuto per individuare soluzioni e superare il poco costruttivo processo di rimozione.
 
Sul piano descrittivo la paura è una reazione emotiva che si presenta dinanzi a un pericolo reale ma anche verso una qualche percezione di minaccia di cui può non essere immediatamente identificata la fonte. Ciò che differenzia la paura dell’uomo da quella degli animali, i quali reagiscono ad una minaccia in modo istintivo, si trova nella capacità del primo di poggiarsi sull’immaginazione che consente di associare le esperienze tra loro, di rielaborare il vissuto fino ad amplificarlo e rafforzarlo. Si tratta di una risposta che presenta per l’uomo un carattere a doppio senso poiché se da un lato appare allo stesso modo istintiva, dall’altro mostra specifiche connotazioni culturali.
 
Possiamo affermare che la paura emerge quando perdiamo il controllo della situazione e che essa si traduce in vero e proprio terrore quando non vi è alcuna possibilità di soluzione.
 
Il modo di manifestarsi comprende aspetti verbali e non verbali, questi ultimi riconducibili alla postura o alla gestualità, e associati a fenomeni involontari dipendenti dal sistema neurovegetativo simpatico, che ben riconosciamo attraverso l’aumento della tensione muscolare, della sudorazione e dei processi respiratori, solo per citarne alcuni. Questa reazione al pericolo, se raggiunge livelli eccessivi, può condurre fino alla paralisi e alla perdita di coscienza a seguito dell’azione del sistema nervoso parasimpatico, il quale porta ad una vera e propria inibizione cardiocircolatoria e motoria. La risposta fisiologica connessa alla paura ha naturalmente una propria funzionalità nell’economia psichica dell’individuo e si correla a tutto ciò che garantisce all’uomo la sopravvivenza. Essa da una parte prepara l’organismo a predisporre le fondamentali difese dell’attacco e della fuga, dall’altra serve a comunicare, per esempio attraverso le grida, la presenza di una minaccia.
 
Oltre alle funzioni di natura fisiologica, la paura non eccessiva gioca un ruolo molto importante all’interno della sfera psichica poiché attiva le risorse implicate nella soluzione dei problemi, consentendo la crescita e l’evoluzione delle funzioni psicologiche individuali (attenzione, concentrazione, apprendimento, memoria ecc.).
 
Un aspetto interessante di questa emozione risiede nei diversi piani di consapevolezza che la riguardano: vi è un livello conscio, nel quale le paure possono essere riconosciute e rappresentate, e un livello inconscio, dove appaiono ignote all’individuo stesso. Di gran lunga le prime risultano imbrigliate e alimentate dalle seconde che proiettano su di esse fantasie e conflitti interni non risolti. Da ciò consegue che piu’ di quanto si possa immaginare i pericoli trovano origine dalla dimensione psichica in misura maggiore che dalla realtà esterna.
 
Non è difficile cogliere come in realtà tutte le paure trovano la loro genesi nella paura della morte, nella consapevolezza della finitudine degli esseri umani che rende l’esperienza della paura sostanzialmente irrisolvibile, e come quelle dei nostri tempi, come l’angoscia del terrorismo o della guerra globale, abbiano una ragione comune nella paura della violenza, dell’aggressività umana come funzione ontologica.
 
Inoltre, piu’ delle altre emozioni, la paura risulta molto contagiosa in quanto la necessità di vivere in gruppo traduce immediatamente la percezione di una minaccia in segnali d’allarme che si diffondono sino a generare reazioni collettive di panico.
 
Le strategie che l’individuo adotta per affrontare e controllare le paure dipendono da alcune variabili come l’età, l’esperienza maturata e i fattori individuali di personalità. C’è chi si basa sulla razionalità, chi evita intenzionalmente di rifletterci e chi paradossalmente la esplora costantemente per esorcizzarla.
 
Vi è anche una differenza di genere nel vivere e gestire la paura. Per ragioni legate a fattori educativi le donne sembrano poter manifestare e condividere piu’ liberamente le proprie paure; questa prerogativa è dovuta all’assenza di meccanismi inibitori di tipo sociale, al contrario evidentemente presenti nei maschi che, indotti socialmente a palesare una condizione di forza e sicurezza, sono chiamati a vivere e risolvere le proprie paure dissimulandole. Sebbene questa emozione svolga precise funzioni adattive, superati certi limiti assume un carattere patologico. Tale deriva si determina laddove non si riesca a comprendere la provenienza del pericolo, condizione che impedisce la sua rappresentazione contribuendo a rendere pervasivo lo stato d’ansia. Naturalmente il superamento dell’angoscia divenuta patologica richiede l’ausilio di strumenti reperibili in ambito psicoterapeutico a seconda del grado d’invasività. Un trauma specifico potrà essere trattato con strategie semplici finalizzate al decondizionamento, una paura di natura piu’ profonda, di tipo esistenziale, richiederà un piano d’intervento capace di risalire all’origine dello stato di crisi, di lavorare sull’insicurezza di fondo e di conseguenza sul livello di autostima.
 
In merito a quest’ultimo aspetto è chiaro che, se per ragioni legate a modalità educative non si è potuto sviluppare un senso di sicurezza sufficientemente adeguato, allora l’individuo tenderà a pensare di non avere alcuna facoltà d’incidere su una situazione complessa e attribuirà ai fattori esterni il potere di regolare la propria esistenza. Al contrario, se riteniamo di poter esercitare una qualche forma di controllo razionale sulle situazioni, allora il sentimento di paura dinanzi alla complessità del reale si ridurrà in misura considerevole.
 
Peraltro si possono determinare soluzioni alternative al bisogno di sicurezza in quanto antidoto alla paura, bisogno che talvolta paradossalmente costituisce di per sé una risposta difensiva al timore di ogni cambiamento; il sentimento della paura può sfociare anche nell’indifferenza, nella fiducia o nell’assunzione di responsabilità.
 
La capacità di elaborazione e il conseguente superamento degli aspetti inibitori si spiega attraverso il meccanismo neurofisiologico che caratterizza l’esperienza della paura. Esso chiama in causa l’attivazione di due distinti circuiti neurali: una via veloce e automatica, diretta ad alcuni nuclei sottocorticali, e una via più lenta che si dirige verso aree della corteccia cerebrale più complesse e capaci di specificare la reale natura del pericolo. Ciò significa che, attraversata la fase reattiva della sensazione, saper discriminare la fonte e le potenziali conseguenze dello stimolo pauroso conduce l’individuo a predisporre difese psicologiche appropriate. Vale a dire che riconoscere e rendere rappresentabile l’origine di tale vissuto costituisce di per sé opportunità di elaborazione, ma anche possibilità di comunicazione e condivisione, risorsa spesso molto efficace per la riduzione dell’affetto angosciante.
 
Partendo da questa prospettiva, dove il “fantasma” appare in tutta la sua figura, trova maggiore spazio l’attitudine che risulta piu’ efficace per fronteggiare e valorizzare l’esperienza della paura: il coraggio. Tuttavia quest’ultimo non va inteso come sfrontata incoscienza del pericolo, al contrario presuppone capacità di ponderazione, saggezza, strategia, in cui alcune volte assume carattere di azione immediata, in altre ragionevole accortezza e attesa delle migliori condizioni per l’agire. In ultima analisi occorre sviluppare una progressiva consapevolezza circa ciò che qualifica il modo di vivere i nostri tempi e le paure che l’accompagnano: riconoscere e accettare la complessità del reale, comprendere le ragioni che ne sono a fondamento e tracciare, sia a livello individuale che collettivo, traiettorie capaci di porre al centro del campo cognitivo, affettivo e comportamentale, il coraggio e la responsabilità come propulsori di un pensiero globale che si declina nel quotidiano mediante l’agire locale.
 
(Paolo Dattilo)
 
Pubblicato da TusciaWeb il 15/12/2015 a questo link : http://www.tusciaweb.eu/2015/12/paure-dei-nostri-giorni/

 


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