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Quella strana scienza chiamata analisi comportamentale - di Giulia De Amicis  



Quella strana scienza chiamata analisi comportamentale - di Giulia De Amicis

Non si può non comunicare.
Questo è ciò che asserisce il primo assioma della comunicazione, teorizzato dalla Scuola di Palo Alto negli anni ’60. Secondo tale postulato, ogni nostra azione ci mette in comunicazione con l’altro, non èpossibile, infatti,  avere un non-comportamento.Anche quando si rimane in silenzio, si invia un messaggio che esplicita la nostra volontà di non voler interagire, e dunque, senza rendercene conto, stiamo comunicando persino in tal caso.
Ciò è possibile in quanto la comunicazione non è composta solamente da parole parlate o scritte, ma è costituita anche, e soprattutto,dal linguaggio non verbale. Tutto ciò viene approfondito e studiato dall’Analisi Comportamentale.

Ma cos’è l’Analisi Comportamentale?
L’Analisi Comportamentale è la disciplina che studia ogni aspetto della comunicazione ed analizza i comportamenti che da questa scaturiscono.Tale scienza si occupa, quindi, di esaminare gli elementi comportamentali presenti in ogni tipo di comunicazione, codificarli utilizzando tecniche scientificamente comprovate ed attribuirgli un’ipotesi di significato servendosi di strumenti di decodifica e tenendo conto del contesto in cui compaiono.Le informazioni estrapolate avvalendosi di tale disciplina, infatti, vanno contestualizzate con estrema cura, per evitare una deleteria generalizzazione, che porterebbe ad una inevitabile svalutazione dell’Analisi Comportamentale.

Ad esempio, se il nostro interlocutore, con la fronte corrugata e le labbra compresse, pronuncia la frase: “Non ti preoccupare, non sono arrabbiato”, a noi arriverà il messaggio contrario e quindi,non crederemo alle parole della persona di fronte a noi, ma al suo linguaggio non verbale. Questo perché il nostro cervello riconosce una veridicità maggiore alla comunicazione non verbale, vista la sua natura prevalentemente inconscia e difficile da simulare, ed elabora quella precisa emozione facciale, in questo caso identificandola come rabbia, una delle sei emozioni universali.

La rabbia che abbiamo colto sul volto del nostro interlocutore, però, potrebbe non essere rivolta a noi, ma, ad esempio, alle persone che in quel momento passando sbattono contro di lui senza chiedere scusa. Quindi, l’Analisi Comportamentale non fornisce una sterile analisidelle componenti comportamentali, ma assegna un significato ad ogni elemento, il quale non avrebbe senso esaminatosingolarmente, lo combina con gli altri come in un puzzle, così da poter trovare la soluzione nell’insieme finale.

Mentre negli altri Paesi l’Analisi Comportamentale è largamente diffusa, in Italia non è ancora molto utilizzata, anche se i primi studi riconducibili a tale scienza risalgono alla fine del 1800. Negli anni ’70, invece,tale disciplinaaffonda le proprie radici scientifichegrazie alle ricerche di Paul Ekman, psicologo statunitense che fu il primo a codificare le espressioni facciali e a dimostrare l’universalità delle emozioni primarie.Questo limitato utilizzo è dovuto, probabilmente, alla scarsa conoscenza di tale disciplina scientifica ed alla inadeguata informazione, per cui si è ancora portati a pensare che l’analista comportamentale sia un cialtrone che tenta di indovinare cosa pensa chi ha di fronte per poterlo manipolare.
Niente di più sbagliato.

Non solo perché l’Analisi Comportamentale non lascia spazio alla libera interpretazione in quanto si avvale di metodologie scientifiche, ma anche, e soprattutto, perché non ha come obiettivo quello di cogliere il pensiero di una persona basandosi su un gesto od un’espressione, tantomeno quello di manipolare l’interlocutore. Infatti, come già espresso in precedenza, l’intento di tale scienza è quello di formulare un’ipotesi di significato, per poter poi indagare od approfondire argomenti di particolare rilevanza o poco chiari.

Come spesso accade per lo studio di fenomeni di altre scienze umanistiche, non si può parlare di certezze, ma di ipotesi, in quanto tutto ciò che riguarda il pensiero delle persone è estremamente soggettivo ed influenzabile dal contesto esterno, nonché dalle caratteristiche interne proprie di ogni individuo. Nonostante ciò, l’analista comportamentale è in grado, tra le altre cose, di captare le microespressioni facciali, che hanno una durata tra 1/15 ed 1/25 di secondo, o prevenire atti di violenza grazie al riconoscimento delle espressioni facciali.

Durante interrogatori di sospettati,l’esperto in analisi comportamentale sa riconoscere indizi di menzogna, oppure sa cogliere problemi comunicativi all’interno di un gruppo di lavoro. È in grado di migliorare la comunicazione di personaggi di spicco e può formare numerose figure professionali, dagli agenti delle forze dell’ordine agli insegnanti, così che possano trarre benefici specifici nel proprio lavoro utilizzando le tecniche di tale disciplina.
Quindi perché non utilizzare l’Analisi Comportamentale, invece di continuare a considerarla una strana scienza?

( Giulia de Amicis - Laureata in Tecniche della Riabilitazione Psichiatrica - Esperta in Analisi Comportamentale - Ricercatrice dell'I.R.I.S.C. Istituto di Ricerca Internazionale in Scienze Comportamentali del Centro per gli Studi Criminologici)
 


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